Dialogo tra Marco Andrea Magni e Remo Salvadori

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R.S:
“LA CORDA, tesa tra due teste, cerca anche con le tue mani, di giungere al Fuori Eterno, la corda ora deve cantare – canta”. Mi sembra puntuale citare questo frammento di Paul Celan per iniziare il nostro breve dialogo.

M.A.M:
Sono sempre stato un tuo attento osservatore, e la prospettiva con la quale mi hai insegnato a guardare è sempre stata una prospettiva rovesciata: tutto parte e ritorna a noi stessi.
Come dice Carlo Rovelli: “Noi, esseri umani siamo prima di tutto il soggetto che osserva questo mondo, gli autori, di questa realtà. Siamo nodi di una rete di scambi, nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazioni e conoscenza. Ma del mondo che vediamo siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno. Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie”. La corda immaginaria della quale parli è un orizzonte (orizzontale o verticale) teso tra i nostri due sguardi nella trama vibratile dello spazio. Bisogna sempre capire come accordarla.

R.S:
Vibrazione come tremore. Nello spazio curvo i nostri sguardi vibrano e riscaldano le nostre parole. Per questo motivo “L’osservatore e non l’oggetto osservato” mi segue da tanti anni.

M.A.M:
Andare verso l’altro diventa per me una maniera e un’occasione per parlare della scultura, nella sua accezione di opportunità, circostanza, pretesto e forma qualitativa. La scultura si declina in superficie toccabile, in perimetri magnetizzati, in attrazioni e distrazioni, in conservatori, in vibrati, in patine pulviscolari, in un corredo di elementi impalpabili e sfuggenti.

R.S:
Il mio pensiero è sempre al presente e presente a se stesso. Tutto è a portata dello sguardo, anche le cose invisibili. La tazza è un universo condiviso nel momento. Si deve poter perdere del tempo per assaporarla. Sono piccole architetture di universo che abitiamo.

M.A.M:
Invece il mio pensiero sul mio lavoro si articola nel flusso dell’esperienza vivente, lungo un percorso che trascorre dalla filosofia morale alla riflessione artistica, giungendo all’esperienza della scultura, fino a trovare il proprio epicentro in un’interrogazione continua – attraverso l’incontro con l’altro che ne diventa interlocutore e misura. Allo stesso tempo mi ha sempre colpito la tua idea di abitare il presente.
Il presente non esiste in modo oggettivo più di quanto non esista un qui oggettivo, la cosa più interessante è lo stretto legame che c’è fra il tempo e il calore e il fatto che solo quando ci sia un flusso di calore il passato e il futuro sono diversi. Ma, al di là della termodinamica, mi interessa il calore umano. E’ nella frizione calda delle nostre idee e dei nostri corpi che desidero ritrovare un mio senso del pudore.

R.S:
Parli di pudore o forse semplicemente di essere presenti a se stessi senza veli. Momento dopo momento la materia sembra schiudersi in un disegno che è sempre quello del primo sguardo e del primo colore che è quello della luce.

M.A.M:
Il passato, il presente e il futuro sembrano condensarsi nella pratica dell’agire e si uniscono, in modo esemplare, in un tessuto vibrante che diviene opera. Un’opera che ha molti riverberi sul piano etico-comportamentale. Il movimento è quello di andare a cercare l’esperienza alla sua fonte, o piuttosto al di là della svolta decisiva in cui, flettendosi nel senso della nostra utilità, diviene propriamente l’esperienza umana.
Nonostante la sostanza, esistono i modi, le maniere, le apparenze.
Le opere si presentano come dei veri e propri moventi.
Sembrano in un primo momento dei supporti del mutamento dove l’arte è del tutto imprevedibile. Più che opere sembrano dei modi di stare nel mondo, si predispongono a seguirne le forme, accogliendo di volta in volta le misure giuste per starvi dentro.
Un pensiero delle maniere, delle immagini, delle forme, che non può non partire innanzitutto da come esse si danno sul piano primario della realtà.
E’ l’intenzione che fa la scultura?
Parte fondamentale della pratica è, infatti, l’opportunità imprevedibile della relazione: tutto nasce e si sviluppa dal desiderio e dai modi di incontrare l’altro, di riconoscerlo o misconoscerlo.

R.S:
Mi piacerebbe che il tuo pensiero, ogni tanto, potesse andare in vacanza. E’ nell’intervallo che inizi a prendere tempo e a guardarti intorno. Un’intervallo che può essere toccato. Mi piace pensare l’intervallo all’interno di un giardino in movimento, che diventa il mio giardino, fatto di colori e di scale musicali. E di infinite primavere. E in questo giardino puoi iniziare a coltivare l’ospite.

M.A.M:
Il mio giardino è “Il giardino di mezzogiorno meno un quarto”, come ho avuto modo di raccontarti a Venezia, e si riferisce ad una piccola forma di pudore nei confronti del giardino paradisiaco. Il vero giardino di mezzogiorno è un giardino in cui il sole allo zenith non proietta più ombra. Concepisco la pratica come un passeggiare in questo giardino vulnerabile, come un principio primo d’inquietudine temporale e di cattiva coscienza. La mia scultura nasce così dalla cattiva coscienza e si esprime in piccole forme di pudore attraverso libere improvvisazioni.
Che significato conferire allo scorrere, apparentemente insensato, dei giorni? Come rispondere alle proprie azioni e che rapporto istituire con quelle degli altri? Credo che la mia opera si possa situare nel difficile punto di contatto fra irreversibilità indelebile del passato e contingenza indeterminata dell’avvenire. Solo la capacità di seguire il ritmo (vibratile) dell’esistenza nel suo battito alternante consente di stringere in un nodo rigore e duttilità, responsabilità ed intelligenza, profondità e leggerezza.

R.S:
Per me, un continuo infinito presente rappresenta il mistero e la bellezza del mondo. Un loop che intreccia il tessuto dello spazio e ci lascia senza fiato. Non c’è più lo spazio che contiene il mondo né il tempo lungo il quale avvengono gli avvenimenti; lo spazio e la materia interagiscono in una danza che disegna un cerchio e ancora in una danza continua, infinita, ma presente al corpo, allo sguardo, alla luce calda ed alla mente attenta.

M.A.M:
Il mio presente parla di epifenomeni più ordinari, minimali, giornalieri, visti come altrettanti luoghi del domandare.
Sono le forme di innocenza, per me, quelle capaci di cogliere il senso misterioso e ineffabile di una dimensione temporale nel suo giornaliero dispiegarsi.
L’istante creativo è vissuto come un intervallo, senza aspirare ad improbabili trascendenze o sostanze fondanti.
E’ più una metafisica declinata all’agire quotidiano come impalpabilità, dissolvenza, fragilità, irreversibilità, erotismo ed energia. 

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